Come una conchiglia di montagna

Storie di padri e di figli

Il progetto

C’è uno spazio e un tempo che separa gli uomini appartenenti alle diverse generazioni. Una distanza cruda abitata da sensi, affetto, rabbia, rispetto, sacralità, ricordo, lotta e progetto. In poche parole una distanza densa di vita. Il nostro lavoro è nato dalla voglia di indagare questa distanza. Lo abbiamo fatto provando, sperimentando e improvvisando con il nostro corpo-voce e con gli strumenti musicali per far emergere significati non scontati che partissero dal corpo e dalla nostra esperienza. Una lunga fase di creazione che ha prodotto sin da subito parecchio materiale scenico. Poi è stata la testa a mettere in ordine il tutto. Ci siamo fatti aiutare mediante interviste a studiosi e testimoni, che ci hanno raccontato storie, nate da un misto tra vissuto e sapere, che a volte diventa sapienza. Quindi il bisogno di circoscrivere l’argomento e il piacere/dolore di scegliere all’interno del legame padre e figlio le dimensioni degne di essere raccontate. Da qui la fase di scrittura dei testi e, laddove la parola degli attori non era in grado di arrivare, il sopraggiungere della musica. Ciò che nasce è un atto unico, veloce e segnato che attraversa continuamente atmosfere reali e surreali, dove gli attori cambiano continuamente personaggi caldi e freddi in una alternanza di ritmo che è un’ottima sintesi poetica della vita. Un lavoro che mette in scena la complessità della relazione padre e figlio senza risolverla e romanzarla, ma semplicemente accogliendola come mistero e dono.

Sinossi

Una barca in viaggio e un albero di bastoni compongono il disegno di uno spazio surreale dai confini indefiniti abitato solo dalla relazione padre e figlio che vuole essere il vero centro della scena. La barca è ciò che permette la vita dell’uomo in mare e quindi custodisce e preserva, essa contribuisce a creare un’atmosfera sospesa e sfumata che non permette allo spettatore di identificare un luogo e un tempo preciso. Perché la relazione padre e figlio non ha tempo e spazio ma è tempo e luogo dell’umano. L’albero maestro è ciò che sostiene le vele che danno la direzione di un viaggio, ma l’albero di questa barca non assomiglia a quelli convenzionali. In viaggio due personaggi assurdi cercano un capitano che dia loro una direzione verso il diventare. Chi? Che cosa? Un padre, un figlio. Una relazione complessa e densa di vissuti che viene raccontata come flash nella memoria e che trova casa nella mente arredata dello spettatore. Una relazione giocata sugli estremi tra lotta e tenerezza, distanza e consegna, assenza ed eredità. Gli attori cambiano continuamente personaggio passando da un registro più esplicito a un altro più astratto e meta-teatrale mettendo così in scena la complessità della relazione padre e figlio perché in teatro, come nella vita, non tutto è comprensibile, ma tutto è rappresentabile. 

Le motivazioni del lavoro

Per tornare a chiederci chi è padre? E chi è figlio?
Per capire se nel nostro procedere affannoso di questo tempo ci siamo persi qualcosa.
Per la nostalgia di relazioni tra giovani e adulti.
Perché tra le generazioni c’è di mezzo una storia che ha una complessità e bellezza che vale la pena raccontare.
Perché crediamo che nelle sfide che devono affrontare padri e figli non vadano lasciati soli.
Perché la genitorialità è l’origine del dono.

Crediti

Come una conchiglia di montagna
Storie di padri e di figli

Con:
Mattia Cabrini
Marco Rossetti

Musiche originali:
Giacomo Ruggeri

Coreografie:
Marianna Bufano

Testi:
Mattia Cabrini, Giulia Fiammenghi, Francesca Poli, Marco Rossetti

Regia:
Mattia Cabrini e Marco Rossetti

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